Il Blog della UIL Polizia Locale di Parma


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venerdì 9 gennaio 2015

Il grande dilemma


Il grande dilemma: <<Pubblico impiego: Jobs Act sì o Jobs Act no.>>
Spinto dalla più grande bufala politico/mediatica degli ultimi anni sui “fannulloni di Stato” (ci riferiamo al “Capodanno romano" della Polizia Locale), talmente ampia e ben congegnata da far invidia anche a Brunetta, il Governo non ha perso occasione per ribadire la necessità di procedere con la riforma del pubblico impiego.
Anni di martellante campagna mediatica sulla inefficienza della pubblica amministrazione, distraendo l’attenzione dalle reali cause delle inefficienze (collusioni, infiniti rivoli burocratici, dirigenti non idonei alle mansioni), alimentate da un’insostenibile prevaricazione della politica sulla res publica (si pensi alle nomine partitiche o alle nomine dirigenziali fiduciarie senza concorso), inducono i cittadini a pensare che i mali di una dissennata e atavica mala gestione della cosa pubblica siano imputabili proprio a quei lavoratori che, contrariamente da ciò che si pensa, sono a loro volta vittime. 
Guardare il dito anziché la luna.
Ma per chi nutrisse dubbi sulla bontà di tali affermazioni, ci limitiamo a riportare gli autorevoli dati della CGIA di Mestre (Associazione Artigiani Piccole Imprese) sulle giornate di assenze dal lavoro per malattia, differenziate per settore pubblico e privato.

Dati del CGIA di Mestre
Come potete osservare, i dati dicono che i dipendenti del settore privato si ammalano mediamente di più dei dipendenti del settore pubblico, 18,11 giorni medi annui a fronte di 16,72 del settore pubblico, sfatando di fatto il mito del dipendente pubblico "fannullone".
Ma la campagna mediatica in questi anni si è spinta ben oltre, tanto che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica è assolutamente convinta che in Italia ci siano molti più dipendenti pubblici rispetto agli altri Paesi europei.
Come per il falso mito sull'assenteismo, proviamo con i numeri a sfatare anche quello sul presunto sovrannumero di pubblici dipendenti. 

Come si evince dal grafico, l'Italia è sotto la media europea (media a 32 Paesi membri) per numero di dipendenti pubblici in percentuale alla forza lavoro totale.
Inoltre, va rilevato che il dato è aggiornato al 2008: tenendo in considerazione che dal 2009 in Italia vi è in essere il c.d. "blocco del turn over", per cui sono bloccate nuove assunzioni per far fronte ai pensionamenti, non è difficile immaginare una brusca accelerazione al trend, già in calo dal 1995, negativo degli occupati nella P.A. il grafico successivo è eloquente:

Tali dati, qualora ritenuti non sufficienti a dimostrare la tesi della campagna mediatica, dovrebbero essere sufficienti, quantomeno, a indurre a giusta riflessione.
Ora, la più che legittima pretesa degli italiani di avere una burocrazia snella e veloce, con un’organizzazione dei pubblici uffici efficiente ed efficace, ove concentrata esclusivamente sul “fannullismo” (sia concesso il termine), rischia di divenire un boomerang per gli italiani stessi e un prezioso assist per la politica e per la grande finanza che attende impaziente la prossima privatizzazione di quei servizi invece essenziali e non alienabili.
Come detto sopra, la prevaricazione politica, con il suo controllo famelico sulle varie amministrazioni pubbliche (che ricordiamo non dovrebbero rispondere alle logiche del profitto dell’impresa privata e dei mercati, ma alla elargizione di servizi pagati a monte con le tasse di ogni singolo contribuente), rischia di far prevalere, in maniera ancor più insostenibile, il turpe interesse della politica autoreferenziale, a danno dell’interesse collettivo.
Per meglio comprendere quest'ultimo concetto,vedremo i dati sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici che in Italia risultano essere mediamente il doppio della media europea. Se consideriamo che, come detto, i dirigenti apicali della pubblica amministrazione sono spesso nominati dalla politica, in piena logica autoreferenziale, non dovrebbe essere difficile capire da dove si dovrebbe cominciare una seria riforma di tutto il sistema della pubblica amministrazione, evitando demagogiche cacce alle streghe e non additando i lavoratori. 
Come si legge nel grafico a sinistra, in Italia un dirigente pubblico mediamente percepisce uno stipendio di 18 volte quello medio dei dipendenti, a fronte delle 8 volte del Regno Unito, per citare il Paese secondo dopo il nostro.


In questo grafico, sulla destra,  si osserva che la retribuzione media dei dirigenti di alto livello italiani è doppia rispetto agli omologhi europei.
Questo dovrebbe far riflettere seriamente sulle vere cause della presunta inefficienza della pubblica amministrazione. Si dovrebbe anche riflettere sulle conseguenze di un'eventuale estensione delle regole del Jobs Act al pubblico impiego.
Qualora venisse davvero data la possibilità alla politica (o ad asserviti dirigenti) di licenziare i dipendenti pubblici senza giusta causa, come è ovviamente supponibile, il dirigente pubblico si troverebbe in posizione ancor più dominante, mentre il dipendente pubblico si troverebbe costretto ad adattare la propria prestazione lavorativa, il proprio essere lavoratore, non più al principio di buon andamento, efficienza ed efficacia, nella ricerca del bene comune, ma al principio “mercenario” del compiacimento del volere politico e/o del dirigente di turno.
Pensare di rendere efficiente la pubblica amministrazione, rendendo facili, o addirittura senza giustificato motivo, i licenziamenti, per le logiche ragioni fin qui esposte, ci appare  un ossimoro.
Un seria riforma della pubblica amministrazione dovrebbe partire proprio da una concreta revisione dell'assetto dirigenziale.
A Roma, i dati sui presunti abusi degli agenti della Polizia Locale si sgonfiano giorno dopo giorno. Se ancora adesso, a distanza di parecchi giorni, se ne parla, a noi sorge un fondatissimo sospetto che il tutto sia stato montato ad hoc per creare l'alibi ad una nefasta riforma del pubblico impiego che, in perfetto stile gattopardesco, cambierà tutto lasciando tutto immutato. Ma sciaguratamente, a subirne gli effetti saranno i lavoratori in primis e i cittadini in secundis, allorché  i servizi resi non potranno che peggiorare.

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